Ho una formazione in psicoterapia sistemico-relazionale, il cui principio base prevede la necessità di guardare alla persona nel contesto delle sue trame relazionali attuali, soprattutto quelle famigliari. Questa lettura, nata negli anni ’30 dalle osservazioni e riflessioni dell’antropologo Gregory Bateson, e sviluppato poi da diverse scuole e pensatori (tra i quali il gruppo del MRI di Palo Alto, J.Haley, S.Minuchin, M.Bowen, fino agli sviluppi italiani con il gruppo di Milano e l’innovativo contributo di Valeria Ugazio) si differenzia quindi dagli approcci più intrapsichici ed individualisti (nel senso di attenti solo a ciò che è interno al soggetto singolo) per la sua visione della persona come parte di un sistema, con il quale comunica continuamente tramite i propri comportamenti e le proprie reazioni. Ogni nostro gesto, ogni comportamento, perfino ogni nostra emozione sono atti comunicativi verso le altre persone che fanno parte del nostro sistema, con le quali conviviamo in un continuo processo di aggiustamento tra mantenimento della relazione e confronto con i cambiamenti imposti dalla vita. Dentro questo sistema di rapporti ciascuno di noi, attraverso la propria esperienza di vita unica ed irripetibile, trova la propria collocazione, il proprio posizionamento, costruendo la propria identità sulla base dei significati e dei valori proposti ed emergenti nelle diverse fasi di vita, ed entrando in una trama di narrazioni, in una conversazione, nella quale sceglie quale posto occupare, in base alle proprie scelte, alle possibilità offerte ed alle occasioni che la vita pone.
In questo modo ognuno trova il proprio spazio all’interno del proprio contesto di vita, costruendo la propria storia: essere “il prediletto” o “il ribelle”, “il cavallo vincente” o “il mulo”, “quello affidabile” o “l’artista imprevedibile”, “la formica” o “la cicala”, ecc. Ogni scelta ed ogni posizione offrirà a ciascuno possibilità e vincoli, risorse e limiti con i quali affrontare le vicissitudini della vita, i cui effetti concreti costituiscono il presente di ciascuno. In quest’ottica, quindi, il sintomo diventa una comunicazione (anche inconsapevole) inviata a qualcuno e la persona portatrice di sofferenza, non più vista come un “soggetto rotto”, con qualcosa di malato dentro di sé, diventa il membro di un sistema sofferente che, per ragioni legate al proprio ruolo all’interno di quel contesto, si fa portatore ed “esplicitatore” di quel disagio. La possibilità di cogliere e riconoscere tali dinamiche è vincolata alla necessità di uno sguardo aperto sull’intera rete di relazioni, capace di osservare la trama più larga possibile, allargando la nostra visuale dal soggetto al sistema. Così, tanto per portare un esempio, gli improvvisi problemi scolastici di un bambino che non aveva mai avuto difficoltà possono essere il suo tentativo di aiuto ad un genitore che, rimasto recentemente disoccupato, può recuperare un ruolo autorevole impegnandosi nel sostegno al figlio, evitando una crisi familiare, piuttosto che un modo per riabilitare agli occhi dei genitori un fratello “caduto in disgrazia” per qualche scelta sbagliata. Aiutare la persone (individui, coppie o famiglie) a comprendere queste storie co-narrate, rileggerle assieme e, ove possibile, riscriverle, è il mio lavoro.