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dipendenza affettivaTutti quanti sognano sin da piccoli di trovare “la persona giusta”: i più fortunati la trovano, gli altri si accontentano. E poi ci sono quelli che sanno benissimo che la persona che hanno trovato non è quella giusta, ma non riescono a staccarsi da lei.

Alcuni chiamano questa condizione “dipendenza affettiva”, altri “masochismo erogeno”, altri ancora “amore malato”, ma la sostanza è sempre quella: ci si trova incastrati in una relazione che genera sofferenza e malessere, si comprende che non è la persona giusta, ma non si riesce ad uscirne.

Ho già avuto modo in passato di parlare delle cosiddette nuove dipendenze, una delle quali sarebbe appunto la dipendenza affettiva. Questo tipo specifico di problema rappresenterebbe tuttavia una specifica eccezione all’interno di questo gruppo, perché ciò di cui non si riuscirebbe a fare a meno non è una cosa o un comportamento, ma una persona.

Ma come si distingue una dipendenza affettiva?

dipendenza affettivaUn primo aspetto essenziale è legato alla qualità del rapporto: la relazione non è serena, non fa star bene, diventando anzi un ostacolo alla realizzazione del soggetto in altri ambiti (lavoro, studio, amicizie, …). Malgrado questa mancanza di benessere e serenità, però chi sperimenta una dipendenza affettiva sente di non poter fare a meno di questo specifico rapporto, che viene continuamente cercato, talvolta anche con comportamenti eccessivamente invasivi e persecutori.

Un’altra caratteristica rilevante è la mancanza di simmetria nel rapporto: il bisogno di vicinanza da parte di uno dei due non corrisponde al sentimento dell’altro. La combinazione di questi fattori genera frequentemente un’escalation simmetrica: uno diventa sempre più fuggitivo, l’altro sempre più “inseguente”.

Questo porta ad avvicinare dipendenza affettiva e stalking: esistono punti di contatto o sono problemi diversi?

dipendenza affettivaGeneralmente si pensa alla dipendenza affettiva come ad una problematica prevalentemente femminile (la donna che non riesce a lasciare l’uomo indifferente), mentre lo stalking come una problematica che riguarda soprattutto uomini (che non accettano la fine di una relazione con la compagna). La mia esperienza e la mia impressione è che i punti di contatto tra queste due condizioni siano molto maggiori delle differenze, che spesso possano essere ricondotte a fattori circostanziali (come la reazione del partner indipendente alle pressioni del richiedente) e, in secondo ordine, anche ad una certa influenza di fattori culturali legati alle modalità relazionali maschile e femminile.

Lo stalker è sempre qualcuno che non riesce ad accettare la chiusura di una relazione o la presa di distanza da parte di un’altra persona: in questo caso la frustrazione del proprio bisogno porta ad una ricerca spasmodica dell’altro (cosa che nella dipendenza affettiva pura è possibile ma non necessaria) attraverso modalità sempre più invasive e fastidiose, che possono arrivare ad assumere anche proporzioni violanti la privacy e la libertà dell’altro.

Ma che cosa fa in modo che una persona sviluppi una forma di dipendenza affettiva? Che cosa fa in modo da non riuscire a liberarsi di una relazione che, ripetiamo, non è mai connotata da serenità e felicità, ma da sofferenza, magari anche solo legata al reiterato rifiuto dell’altro di assecondare le nostre richieste?

dipendenza affettivaIn breve possiamo riconoscere tre forme di pensiero tipico che incastrano il dipendente affettivo:

  • senza l’altro, non ce la posso fare”: la presenza dell’altro e la sua vicinanza vengono visti come condizioni necessarie per la sopravvivenza stessa e la felicità personale;
  • se ho sopportato fin qui, non mollerò adesso”: le sofferenze e i tentativi compiuti finora giustificano quelli che saranno fatti in seguito. Ciò significa che più una persona ha fatto, e più farà, perché sente che mollare significherebbe perdere tutto l’investimento fatto.
  • lui/lei cambierà per amore mio/potrò cambiarla/o con il mio amore”: esiste un’aspettativa magica e irrealistica, che l’altro a un certo punto vedrà nella nostra insistenza il nostro amore e che quindi passerà dal rifiutare al corrispondere i nostri sentimenti.

Se questi sono, per sommi capi, gli elementi salienti di una forma di pensiero che costruisce ed alimenta la dipendenza affettiva, è chiaro che il percorso personale che porta a questo stato di cose appare meno facilmente definibile in termini generali, ma comprensibile solo in relazione al caso specifico.

Certamente la premessa fondamentale che pone le basi per un superamento del problema parte dal riconoscimento della dipendenza affettiva stessa: rendersi conto di essere in una condizione di incapacità di uscire da un rapporto e riconoscersi in quanto sopra descritto è il primo passo necessario per avviare il cambiamento.

Chi vive una condizione di dipendenza affettiva è il primo prigioniero di se stesso: se l’altro può sentirsi perseguitato ma al contempo ha spesso anche la possibilità di prendere comunque le distanze, questa mossa di indipendenza non è possibile a chi vive nell’ossessione di un’altra persona.

Riuscire a rompere questa catena non significa quindi tanto o solo imparare a lasciare, ma prima di tutto imparare a essere liberi.

38 Comments

  1. Sandra ha detto:

    Non sono felice con il mio compagno…ma non riesco a lasciarlo.non mi fido più. Continua a dire bugie..ma qualche cosa mi frena a troncare definitivamente.

    • cboracchi ha detto:

      Cara Sandra, comprendo la difficoltà che esprime, perché è la stessa che frena molte altre persone come lei. Spesso un meccanismo che incastra è quello del “ho sopportato così tante volte che se ora mollassi la presa avrei sprecato tutti gli altri sacrifici fatti finora”. Purtroppo l’esito di questo meccanismo è che ci si infila in una spirale che non finisce mai, perché la prossima volta avremo un sacrificio in più da mettere nel conto di quelli fatti e così via, potenzialmente all’infinito.
      Capire che cosa ci incastra, perché ci sabotiamo di fatto con le nostre mani e come fare a rompere questo meccanismo può certamente essere un punto di partenza importante per una psicoterapia.
      Per qualsiasi altra informazione, sono a sua disposizione

      • Enrica ha detto:

        Buongiorno,
        Ho avuto un rapporto di 5 anni con la mia migliore amica, ci consideravamo sorelle, eravamo inseparabili, poi è successo che con il tempo sono uscite le prime discussioni, i primi litigi e questa cosa è sempre stata una costante in 6 anni… Era tutto un prendi e molla tra noi. Sapevo che il suo atteggiamento mi feriva ma non ho mai voluto tagliare i ponti con lei fino in fondo e tornavo sempre sui miei passi, chiedendo scusa anche quando non avevo colpe, la mia speranza era sempre la stessa: che le cose tra di noi cambiassero e che non si sarebbero mai più ripetute le stesse dinamiche invece… La dinamica era sempre quella: lei innescava dicussioni provocando, stuzzicando, io mi difendevo con toni normali poi lei prendeva tutto e sempre sul personale qualsiasi cosa dicessi e iniziava la discussione o nel peggiore dei casi il suo silenzio punitivo, con questa persona non sono mai riuscita a conunicare, zero ascolto, zero umiltà, le colpe e le responsabilità ogni volta ricadevano solo e sempre su di me, sempre a senso unico. Questa persona si rifiuta di capire che in qualsiasi relazione si è in due ed entrambi sono responsabili. Ho cercato in tutti i modi possibili immaginari di far sentire questa cosa ma niente da fare, lei era quella infallibile che non sbagliava mai, perfetta, sul piedistallo, sempre ragionato con giusto/sbagliato, torto/ragione… Era come schiantarsi ai 200 all’ora contro un muro… IO mi sono sempre assunta le mie responsabilità, attualmente ci siamo rotte definitivamente o meglio, ha deciso lei di chiudere perché la colpa ovviamente era solo e soltanto mia…
        Ho investito tanto tempo e amore verso questa persona, ho fatto tutta me stessa ed ora ho tanta difficoltà a lasciar andare, sono in conflitto tra il MI MANCHI NON RIESCO SENZA DI TE e il VAFFANC*LO STAI FUORI DALLA MIA VITA PER SEMPRE.

        Attendo una riposta, grazie

        • cboracchi ha detto:

          Salve, e grazie per il suo prezioso contributo che ci ricorda come le relazioni incastranti non sono necessariamente solo quelle sentimentali, ma anche quelle amicali, nelle quali possono presentarsi emozioni e vissuti molto intensi.
          Ciò che colpisce però è che generalmente le relazioni amicali sono concepite per essere più flessibili e abbandonabili di quelle sentimentali, perché non necessariamente esclusive (uno può avere un solo partner, non necessariamente un solo amico, anche se fraterno). Certamente ogni persona è unica e irripetibile, ma laddove il rapporto presenta aspetti così ambivalenti e contrastanti, l’idea di potersi sentire liberi di rivolgersi altrove diventa molto più abbordabile e meno devastante.
          Posto che ciò di cui stiamo parlando sia realmente “solo” un’amicizia, e non magari un coinvolgimento che (forse anche inconsapevolmente) può aver preso una forma più intensa, una domanda che mi pare valga la pena porsi è se il problema sia davvero relativo al rapporto con questa persona o se sia relativo a come mi vedo e a come sento di essere “attrezzato” per affrontare il mondo.
          Come ho avuto modo di scrivere anche altrove, ovviamente una risposta esaustiva non può essere trovata in questa sede, nella quale non esistono le condizioni per poter entrare nello specifico della storia di questa relazione, del percorso suo e vostro. Per tale motivo, se questa situazione diventa tanto fonte di sofferenza, credo che valga la pena prendersi lo spazio per approfondirla in un percorso personale, dove le sue emozioni e i suoi vissuti possono certamente trovare uno spazio più adeguato per essere compresi.
          Un caro saluto

    • Giada ha detto:

      Io uguale.

      • cboracchi ha detto:

        Cara Giada, spero che abbia trovato l’articolo utile a capire la sua situazione. Se dovesse sentire il bisogno di approfondire la cosa, non esiti a contattarmi

        • Enza ha detto:

          Mi dispero: consapevole di una relazione ( se tale si puo chiamare ci si vede raramente ma ci si sente ogni giorno) disfunzionale non so come uscirne. È una relazione che mi fa solo soffrire tanto( lui credo sia narcisista, mi ha corteggiato per ben 7 anni , non mi interessava, ma alla fine ci son caduta e trattata successivamente msle) . Non ho possibilità di andare da uno psicologo. Ho provato con il consultorio ma , anche se brava, la dottoressa non era adatta al mio problema.vorrei un aiuto anche se so che devo aiutarmi io. Ma non so come. Grazie

          • cboracchi ha detto:

            Cara Enza, capisco la sua situazione e che in tanti casi i costi di una terapia possono rappresentare un ostacolo importante.
            Ovviamente non so nello specifico quali siano state le difficoltà che ha riscontrato con la terapeuta che ha incontrato in consultorio, però forse affrontare direttamente con lei le perplessità e le difficoltà che ha percepito può essere un modo per affrontarle e risolverle.
            Un’altra opzione può anche essere quella di provare a rivolgersi ad un altro servizio, sempre per rimanere nelle opzioni a costo zero.
            Dal momento che però mi dice che di fatto anche allo stato attuale questa relazione è caratterizzata praticamente da contatti solo telefonici, è possibile provare ad allentare e rompere anche questo filo? Evitare social, chat e simili che continuano a riportarci dentro la relazione con la testa e con il cuore, e allentare un po’ “le sirene” che ci spingono a tornare nel gorgo torbido di un rapporto che ci risucchia?
            Forse questo piccolo auto-aiuto può essere un primo modo per rompere il meccanismo che la riporta sempre dentro le stesse spire…

  2. Cry ha detto:

    Io non riesco a lasciarlo perché so che soffrirebbe enormemente, affronta ogni guaio, piccolo o grande in modo smisuratamente emotivo…
    Ho paura della sua reazione, non verso di me, ma verso se stesso.
    Come devo fare)

    • cboracchi ha detto:

      Comprendo molto bene il dilemma che sta vivendo, Cristina, perché purtroppo questo è il “tranello” in cui cadono tante relazioni: quello in cui una persona rimane incastrata per il timore di ciò che l’altro possa fare a se stesso.
      Questa è una vera e propria trappola per entrambi: per chi vorrebbe rompere il rapporto perché teme di sentirsi in colpa se dovesse accadere qualcosa all’altro, ma in fondo anche per chi, attraverso la propria minaccia autolesiva, pensa di riuscire a trattenere il partner. In questo modo infatti anche lui finisce nel paradosso per cui “per essere felice devo essere infelice”, perché sente che l’altro rimane solo fintanto che lui è debole, a rischio di farsi del male, per cui se diventasse forte, sicuro, l’altro se ne andrebbe.
      Non è facile rompere un meccanismo come questo, soprattutto se non è disposti ad accettare la verità per cui una relazione non può essere un sequestro di persona e che ciascuno è sostanzialmente l’unico responsabile delle proprie scelte e decisioni, anche quella se farsi del male o meno. Non voglio che tu ti faccia del male, vorrei che trovassi un altro modo per affrontare il dolore, ma non posso impedirti di farlo.
      Come accompagnare l’altro a questo passaggio?
      Arrivare ad una rottura per passi graduali ma chiari e fermi può essere un modo, così come cercare l’aiuto di un terapeuta per sé (per lavorare sul proprio senso di responsabilità) ed invitare anche l’altro a farlo.

      • Luigi ha detto:

        Salve, ho vissuto per un anno e mezzo una relazione che mi ha svuotato. Mi sono sentito all’inizio desiderato e voluto, però poi pian piano come nelle montagne russe lei si lamentava di tutta la sua vita e dei suoi innumerevoli problemi. Io cercavo sempre di darle aiuto, poi da quando i miei sentimenti sono cresciuti sono iniziate le crisi: ci vedevamo poco, forse una volta a settimana, un rapporto fatto di messaggi, ed anche con messaggio si è allontanata da me due volte. Mi sentivo sofferente in quella relazione ma ancora oggi (premetto che sono 15gg che ci siamo allontanati) mi manca, mi sono sentito sfruttato, usato e manipolato ma non riesco a stare senza di lei.
        mi sono sentito un suo giocattolo, è una donna che spesso mi diceva io ho solo rapporti malati, sono distruttiva
        Siamo entrambi separati con figli
        Faceva un passo avanti rispetto alla relazione per poi farne 10 indietro
        Ho sempre saputo in cuor mio che questa relazione era in fondo malata, Ma mi piaceva
        Credo almeno mi illudo di amarla
        Mi sento in una gabbia creata da me

        • cboracchi ha detto:

          Caro Luigi, grazie molte della sua condivisione, che offre davvero molti spunti importanti. Dalle sue parole traspare l’ambivalenza e la difficoltà che spesso intrappola chi vive una relazione come questa: ci si sente ingabbiati, ma ci si rende conto che il primo carceriere non è l’altro ma siamo noi.
          Com’è possibile? Perché ci imprigioniamo con le nostre mani, invece che liberarci?
          Proprio questi interrogativi possono essere alla base di un lavoro terapeutico fruttuoso, perché focalizzato su di noi e su ciò che ci blocca, e quindi su ciò che possiamo costruttivamente cambiare.
          Proprio perché ha deciso di iniziare a provare a porre una distanza anche fisica (dice che sono alcuni giorni che non la sente), la invito a usare questo momento anche per chiedere l’aiuto che può sostenere questo suo sforzo e aiutarla a uscire da questo gioco “malato”, come dice lei, per riuscire a liberarsi di questa trappola.

        • Carlo ha detto:

          Salve, ho 22 anni. Fidanzato da quasi 5 anni ormai.
          Mi ritrovo ahimè molto nelle parole da lei pronunciate, soprattutto nel 2 dei sintomi comuni del dipendente affettivo.
          Mi dico ogni volta che sarebbe da idioti lasciarla ora, dati i sacrifici fatti e tutto.
          A volte mi piace pensare che passeremo tutta la vita insieme, ma in cuor mio so di doverla lasciare.
          Siamo due persone molto molto diverse, e vedo che non ci troviamo veramente quasi mai.
          Con l’inizio dell’universitá poi ci vediamo molto poco, e anche se io non guarderei orari e stanchezza per vederla, per lei non è la stessa cosa.
          Mi sento escluso dalla sua vita, posto all’ultimo ripiano di questo enorme scaffale.
          Io invece ahimè la metto sempre in cima.
          Le discussioni e le litigate aumentano sempre di piú, e per lo piu per motivi futili, incomprensioni di messaggi su whatsapp..
          La cosa che mi spaventa è che credo di essere innamorato dell’immagine che mi faccio di lei, piuttosto che della reale persona.
          Io sto male, piango la notte prima di dormire.
          Da un lato non riesco a dormire o mi sveglio di notte quando lei va a ballare con le amiche o banalmente esce; dall’altro se pongo a me stesso la domanda “perchè vuoi stare con lei”, non so darmi una risposta.
          Io non so perchè, ma sono quasi ossessionato da questa persona, mi aggrappo a quella volta su dieci in cui mi fa provare delle sensazioni che nessun’altra persona al mondo mi fa provare.
          Ma so che non potrá andare avanti all’infinito.
          Inoltre, un altro enorme problema è la sua famiglia. Proviene da una famiglia fortemente cristiana, che non le permette di dormire a casa mia, di farci un viaggio insieme, e io credo che mi sto perdendo gli anni migliori della mia vita appresso una cosa che neanche mi rende felice per quello che è.
          Sono disperato ho anche sviluppato nel corso degli anni un fetish chiamato cuckold, dato dal mio senso di continua inferioritá e tristezza.
          Mi scuso se ho fatto un minestrone di argomenti, ma questa è la mia testa al momento, un bel minestrone di pensieri e angosce che non mi lasciano vivere sereno.
          Non so come uscirne.

          • cboracchi ha detto:

            MI scuso per il ritardo a rispondere, ma ho avuto problemi con la gestione del sito.
            Da quello che scrive ho l’impressione che la situazione in cui si trova sia più legata al fatto di “dover lasciar andare una vita passata” più che una relazione. Quando una storia inizia così presto, come nel vostro caso, e prova a sopravvivere alle inevitabili rivoluzioni che la vita porta con sè a cavallo della fine della scuola, l’ingresso nell’età adulta, ecc. inevitabilmente deve andare incontro ad una profonda messa in discussione, una fine. Magari per poter poi anche riprendere, ma non senza aver chiuso la storia adolescenziale e iniziato la storia adulta, se sussistono le condizioni per farlo.
            Come scrive “credo di essere innamorato dell’immagine che mi faccio”: si è legati ad un’idea, inevitabilmente connessa con ciò che è stato, ma forse anche con qualcosa che non è e non sarà più.
            In questi casi resta da capire se quindi ciò che è difficile lasciar andare sia l’altra persona, o le sicurezze in cui la nostra vita finora si è orientata, relazioni comprese.
            Avere il coraggio di lasciare queste vecchie sicurezze per costruirne di nuove, magati con l’aiuto anche di un supporto psicologico può aiutare a vivere questo passaggio con maggiore lucidità.

  3. Sissi ha detto:

    Sto da 10 anni con un uomo sebbene l’amore da parte mia sia finito dopo 2. Sono 8 anni che vivo perennemente combattuta tra la parte razionale di me che sta bene così (lui ha una bella casa, un buon lavorio e mi ama immensamente) e quella emotiva che sogna di tornare single e poter rivivere emozioni ormai sopite. Ho sempre pensato che un giorno la parte emotiva avrebbe prevalso e avrei trovato il coraggio di lasciarlo ma ad oggi ancora non è accaduto. Sono molto affezionata a lui, ormai lo vedo come uno di famiglia e non sopporto l’idea di farlo soffrire. Morale, non riesco a sganciarmi e ricominciare una vita. A tratti ho paura della solitudine, del fatto che non avrei più una persona stabile a fianco. Ma nello stesso tempo sogni la libertà. Questa indecisione mi sta rovinando la vita.

    • cboracchi ha detto:

      Cara Sissi, grazie per la sua sollecitazione, che ci offre uno spunto diverso da quello che molto spesso viene vissuto. A bloccarci non è tanto il rifiuto dell’altro o il tormento di un amore che non trova pace, quanto piuttosto un equilibrio nel quale ci accomodiamo, pur non essendo particolarmente coinvolti o realizzati dalla relazione.
      Una parte di noi cambierebbe anche… ma a quale costo? E se poi cadessimo dalla padella alla brace? E come sopporteremmo poi di aver fatto del male all’altro, averlo fatto soffrire?
      Dall’altra parte poi “la libertà” è un’idea seducente ma indefinita, rischiosa ma affascinante…
      Detto in altre parole: come si fa a scegliere tra sicurezza e felicità?
      Il quesito è forse irrisolvibile, se non forse passando attraverso un altro interrogativo: siamo sicuri che questi due termini siano inconciliabili?
      Ovviamente non è possibile entrare in questa sede nel dettaglio di una situazione che non conosco, ma cosa ci porta a pensare che non sia possibile cambiare la nostra situazione per giungere ad un nuovo equilibrio?

  4. angela nardini ha detto:

    Ho letto queste lettere per trovare un consiglio ma è dura…ogni situazione è a se …è vero che ci si intrappola da soli ma come faccio a chiudere la mia relazione lasciandolo senza casa senza un lavoro fisso e con quasi 10 mila euro che mi deve restituire? Questa pandemia ci ha ucciso anche se siamo ancora vivi…

    • cboracchi ha detto:

      La ringrazio per la sua osservazione. Certamente l’articolo non vuole e non può essere comprensivo di qualsiasi situazione esistente, e capisco che spesso fattori non emotivo-relazionali giochino un ruolo decisivo nelle decisioni e nei margini di movimento che sentiamo di poter avere. Al contempo mi permetta di aggiungere un’osservazione (non perché strettamente attinente al suo caso, ma perché decisiva altrove): non sottovalutiamo quanto spesso la debolezza possa essere sfruttata allo scopo di legare le persone.
      Se essere povero, debole, disoccupato, disperato, ecc. è ciò che fa in modo che il partner non mi lasci, chi me lo fa fare di uscire da questa condizione di fragilità? Certamente non è facile abbandonare una persona alla cattiva sorte, ma saper notare se qualcuno sta usando la sua precarietà per incastrarci e immobilizzarci è uno spunto prezioso per evitare di rimanere bloccati in una trappola a due

  5. Ali ha detto:

    Buongiorno, credo di vivere una vita da parte mia felice sana tutto che come sembra
    Ma dall’altra parte mia ragazza che ho da 2 anni in cui 1 anno di convivenza.
    A me mi sembra di aver fatto tutto per lei ma non capisco perche lei e fuggitiva (come avevo letto sopra i 3 punti, ovvero uno che sempre inseguente e l’altro fuggente) nel mio caso io che seguo e lei quando è di buon umore
    Ma non riesco capire, perche tra noi si riesce finire abbiamo provato entrambi, ma non riesce ne lei ne io
    Tralasciando le paure
    Io chiedo se questa e malattia e come farla curare, perche lo so che lei mi ama anche non ho dubbi
    Ma ultimamente non riuesciamo avere ne rapporti intimi anche, ogni tanto sembra di essere trappolati e a volte siamo la coppia piu felice del mondo
    Non riesco capire di cosa si tratta

    • cboracchi ha detto:

      Salve Ali, da ciò che mi scrive non riesco ad avere elementi sufficienti per poter capire effettivamente il problema.
      Credo che sarebbe opportuno affrontare le sue domande e i suoi dubbi direttamente in un colloquio di coppia: proprio perché i momenti critici si alternano ad altri invece belli e positivi, credo che abbia senso provare a mettersi in gioco per capire quale sia il problema che state vivendo e cambiare la situazione.

  6. Martina ha detto:

    Buongiorno ,

    leggendo l’articolo credo di riconoscermi nella situazione di dipendenza affettiva e in particolare la frase che mi rappresenta è senza l’altro come posso fare di nuovo da sola….
    Premetto sono rimasta vedova con un figlio piccolo da crescere e di quel periodo ovviamente non ho un bel ricordo. A parte il dolore immenso per la perdita di mio marito, nella quotidianità avvertivo sempre un forte senso di inadeguatezza nel vivere una vita che non era quella che io avevo scelto.
    Poi ho incontrato il mio attuale compagno con il quale ho avuto un altro figlio , ma appena abbiamo iniziato a vivere insieme ho da subito capito quanto fossi cambiata e quanto poco avessi voglia di scendere ai compromessi che una normale vita di coppia comporta.
    Dopo tanti anni ho imparato a mediare, a pazientare, ad accontentarmi di una vita che penso sempre non sia la mia, ancor di più da quando a fianco a me c’è una persona con la quale non condivido nessun interesse, se non l’unica cosa bella che insieme abbiamo fatto, un figlio.
    Spesso sogno di lasciarlo e spesso lo minaccio di farlo , ma poi mi sento attanagliata , come se l’idea di buttarmi di nuovo nel vuoto mi riporti al vuoto che provai quando rimasi vedova.
    Così resto vittima di me stessa , delle mie paure e non riesco a trovare il coraggio di iniziare un nuovo percorso.

    • cboracchi ha detto:

      La sua situazione, Martina, mi sembra che si inserisca in una casistica un po’ differente da quella della dipendenza affettiva vera e propria: la questione che la tormenta non è tanto cosa fare se perde questo specifico compagno, o il legame che sente impossibile perdere non è tanto quello con la persona che le sta accanto ora, quanto piuttosto il timore di perdere la sicurezza dell’equilibrio raggiunto, specie sulla scia del dramma vissuto con la perdita di suo marito, con tutta l’improvvisa incertezza sperimentata in quel momento.
      Come scritto altrove, sono consapevole che le situazioni singole siano sempre più articolate e complesse di quelle tratteggiabili in un articolo, e come quindi i fattori che intervengono a spingere o frenare un cambiamento appartengano ad ambiti e livelli molto diversi e sfaccettati. Ciò non toglie che comunque dei margini di cambiamento possano comunque essere percorsi: se una condizione di vita non può magari essere stravolta, trovare un modo per renderla meno amara può essere salvifico.

  7. Luca ha detto:

    Buongiorno Dottore, io vivo da tre anni con una ragazza fantastica dal punto di vista di empatia e sensibilità, è amorevole, si prende cura di me, si fa in quattro per il bene della coppia, è rispettosa e molto seria di sani principi. Avevamo fatto progetti anche di avanzare nel rapporto costruendo una famiglia. Premetto che questa relazione è cominciata 5 anni fa quando ho sofferto di problemi di depressione ansiosa ed attacchi di panico a seguito di una serie di relazioni e rotture dolorose, la attuale persona si è avvicinata nel momento peggiore della mia vita ed ha scelto di starmi comunque vicino; mi ha ridato una luce ed una speranza. Con lei sono ripartito e rifatto una vita, ma non ho sentito per lei la fase iniziale dell’innamoramento (il mio terapeuta dice che in un periodo del genere è plausibile e probabile che fisicamente non fossi in grado di provare certe emozioni un po’ per la fragile emotività del periodo, un po’ per le medicine che assumevo), ma mi sono detto che l’amore sarebbe arrivato comunque nel tempo. Abbiamo costruito, siamo cresciuti e ci siamo migliorati come persone stando insieme, poi il dramma: un anno fa incomincio a sentire che qualcosa non mi convinceva più, che io non riuscivo più a dare quello che davo prima, che non la amavo come lei amava ed ama me, che il rapporto era ed è sbilanciato, che volevo mettere il naso fuori da casa per trovare altri stimoli esterni alla relazione (coltivando di più le mie passioni e le mie amicizie), ma che allo stesso tempo non mi sentivo di lasciare una persona che per la prima volta mi ha amato davvero nella mia vita, andando in profondità come mai nessun’altra, le avrei causato un grande dolore e non se lo meritava. Così, da un anno ormai, sono incastrato nel limbo del “la amo o non la amo? Sto con lei perché fa comodo e sono abituato, ed è dunque solo paura di stare solo?” Ecc….fino ad arrivare agli ultimi episodi dove credevo di essere deciso a lasciarla, lei comincio a fare le valige e qualcosa dentro di me esplode a livello emotivo: “per favore fermati non te ne andare ti prego”. Ed oggi siamo di nuovo qui, se lei c’è non riesco ad uscire dal dubbio, se non c’è sto malissimo perché mi sembra di buttare via la relazione più importante della mia vita, e credo di dover riaffrontare quel grande dolore del distacco (e conseguente lutto) con la grande probabilità di tornare a stare male tanto come nel 2016. Ho paura di quel dolore (sono già in contatto con uno psichiatra a riguardo) e di non farcela senza di lei che mi ha ridato la vita. Dall’altra parte sono consapevole che non è giusto tenere una persona in un limbo costante perché comunque merita di essere ricambiata per l’amore che da, e c’è differenza tra voler stare con una persona (perché la si ama) ed avere paura di stare senza di lei.
    Ad oggi sono fermo qui, forse saprei che fare ma non ci riesco, non lo accetto, ho davvero tanta tantissima paura. Non so come affrontare questo tema, anche con il mio psicoterapeuta e con gli amici ne parlo da un anno ma sono sempre qui, e la persona di fianco a me soffre molto perché non si sente voluta. Il mio psicoterapeuta ha.consigliato un periodo di allontanamento concordato (ad es. Dai 3 ai 6 mesi) ognuno a casa propria e tornare a fare i fidanzati per vedere il risultato: saranno maggiori i momenti che vorremo passare insieme o meno rispetto a quelli dove cercheremo solitudine e la presenza di amici? Unico vero di non frequentare nuove persone all’interno di quel periodo.
    Questa cosa non è stata accolta dalla mia compagna, ha detto che o stiamo sotto lo stesso tetto e ci lavoriamo per stare insieme, o lei se ne andrà per sempre.
    Non so che fare, sono bloccato in questo tormento da un anno ormai. Non ce la faccio più, e lei nemmeno. Nessuno dei due ha la forza per prendere una decisione, ma stare insieme non è più come prima.
    Mi serve aiuto

    • cboracchi ha detto:

      Caro Luca, la sua lunga disamina delinea con chiarezza il timore che la frena. Purtroppo ci sono punti di stallo nei quali ci si sente incastrati che si possono protrarre all’infinito, se non si ha il coraggio di provare a rischiare e rompere questo blocco paralizzante.
      Capisco bene ovviamente che le mie parole in questa sede non possono essere esaustive di una situazione che ha certamente sviscerato ed affrontato meglio in sede terapeutica, l’unica cosa che mi sento di aggiungere è che, se questa situazione è diventata ormai (come immagino) frustrante per entrambi, forse accettare il rischio di essere “quello che ha rotto la relazione” è la strada giusta per essere “quello che ci ha fatti uscire dal vicolo cieco in cui eravamo finiti”.

      • Luca ha detto:

        Il problema è che il vicolo cieco l’ho creato io, e mi sento sempre in difetto, responsabile perché razionalmente è la relazione più importante della mia vita e meriterebbe un altro tipo di epilogo…ma come emotività sono ad un punto che passare tempo in casa o comunque insieme, ed anche solo programmare qualcosa, mi genera ansia, una fitta al petto vera e propria…

  8. Davidef ha detto:

    Ho conosciuto una ragazza tempo fa e tra di noi c’è stata subito una forte attrazione, da parte mia e sembrava anche da parte sua c’era la voglia di vedersi e di iniziare una bella conoscenza..fino a che l’ex, che poi ex forse non era, non è ripiombato in maniera ossessiva e direi anche abbastanza violenta nella sua vita portandola nel giro di poco a voler tentare un recupero del loro rapporto..rapporto che era stato più volte interrotto da lui stesso. Lei mi dice che con me non ha finto, e le credo, mi domando però..cosa spinge una persona a voler ritentare all’infinito quando è trattata chiaramente come un oggetto da prendere o lasciare a proprio piacimento?

    • cboracchi ha detto:

      Capisco molto bene la frustrazione di chi, come ci espone nella sua domanda, vive la situazione di empasse di una persona dentro una relazione “dall’altra parte”, dalla parte cioè di chi vorrebbe intraprendere un rapporto nuovo con chi sembra non riuscire ad uscire da uno vecchio.
      Purtroppo non esiste una risposta sola alla domanda “perché uno rimane incastrato”: certamente le situazioni riportate sopra nell’articolo possono essere una possibilità, ma non è detto che subentrino altri fattori. Spesso tuttavia, come ben sottolinea l’esempio che riporta, la dipendenza in realtà è a due: uno dei partner appare come fuggitivo fintanto che l’altro lo insegue, ma non appena compare qualcun altro all’orizzonte, ecco che subito la dinamica cambia, e chi prima scappava, ora diventa inseguitore, anche insistente.
      Purtroppo sta alla persona direttamente coinvolta e a nessun altro, capire il tranello nel quale contribuisce ad incastrarsi con le proprie oscillazioni e indecisioni.

  9. Anna ha detto:

    Non lo amo più da anni, evito la sua compagnia, niente sesso, affettività, progetti comuni. Lui gentile e accondiscendente, occhi azzurri da cerbiatto, prende positivamente ciò che gli arriva addosso purché non gli costi sforzo, non ha iniziativa, dice di essere a disposizione in caso di necessità. Io ritirata nel mio silenzio guadagno nel tempo totale autonomia e vivo la mia vita come fossi da sola.
    Sapevo sarebbe accaduto, vidi nitido il mio futuro quando tentai di lasciarlo all’inizio della relazione. Lui pianse e io cedetti. Seguirono innamoramento e qualche anno felice, poi altri vent’anni di convivenza, figli, casa, parenti, cani e gatti, la gestione familiare a totale carico mio, aspettative disattese, continue delusioni. Una presenza muta, anche un anno fa quando affrontai il cancro.
    Ho intrapreso un percorso con una brava psicologa che mi ha fatto prendere coscienza della bambina non compresa e mai gratificata che sono stata, degli inutili e innumerevoli sensi di colpa che non mi abbandonano ma che almeno ora riconosco.
    Da tanto tempo voglio dire BASTA non riesco a parlare. Quando ci troviamo soli nella stessa stanza sento solo il desiderio di scappare. Non so come iniziare il discorso perché tra noi non c’é dialogo. In un giro vorticoso e infinito ciò crea ulteriori sensi di colpa. Non vedo come uscirne e mi dispero. Molte grazie dottore per questo spazio.

    • cboracchi ha detto:

      Cara Anna, la ringrazio per l’esperienza che ha condiviso. In uno spazio come questo non è certamente opportuno entrare in questioni che temi che è giusto trattare esclusivamente in una stanza di terapia, per cui mi permetto solo di aggiungere una postilla a quanto proposto nell’articolo: non sempre è una dipendenza affettiva a tenerci incastrati in una relazione. Spesso sono altri i fattori che entrano in gioco e che ci portano a non realizzare ciò che affermiamo di desiderare.
      A volte la consapevolezza di questa complessità è necessaria per prendere atto di ciò che realmente ci sta trattenendo in questo stallo, ed è il punto a cui può portare la terapia. Il passo seguente è una nostra irrevocabile decisione.

  10. Francesca ha detto:

    Ciao, ho 20 anni e ad ottobre del 2022 ho conosciuto online un ragazzo 22enne. Io al momento studio (non uni ma corsi vari per inserirmi nel mondo del lavoro) e lui dice che ripassa per entrare nel mondo del lavoro, ma lo fa molto sporadicamente e non si impegna per effettivamente entrarci. Stiamo a 1200 km ma da luglio sarò a 2 ore da lui definitivamente. Ci siamo visti solo 1 volta (i miei non lo sanno che l’ho visto quella volta) perché lui venne da me e doveva stare per 3/4 giorni (conoscendo i miei i giorni successivi al primo), ma l’indomani ritornò a casa dato che non si sentiva bene: è un tipo attaccato alla sua “bolla di comfort” e appena esce ha ansia e inizia a sentirsi male con sintomi di gastrite. Da quella volta mi aveva detto che doveva venire pure per il mio e il suo compleanno e verso maggio, dopo aver fatto visite per capire il perché della sua ansia e per il fatto che non riesce a respirare bene a volte, ma inutile dire che saltava tutto appena gli dicevo che non volevo che si sentisse male. Dalle visite è saltato fuori che è allergico alla polvere, ma effettivamente non sta facendo nulla per risolvere il problema, se esiste una soluzione per alleviare i sintomi (scusatemi ma non ho mai avuto a che fare con allergie). Prima di arrivare a questa conclusione sono passati molti mesi dove non ha effettivamente cercato di risolvere la questione ma ci metteva il tempo che voleva per prenotare le visite e tutto. Lui ha bisogno di rassicurazioni continue sul fatto che io lo ami e che non lo lascerò mai (ha avuto una sola relazione prima di questa dove l’ex l’ha tradito). Queste continue rassicurazioni e continui ti amo e robe simili, molte volte mi fanno stancare e diventare “apatica”. Ho provato molte volte a farglielo capire, ma continua a dire che ha bisogno di queste rassicurazioni e della mia costante presenza, infatti si lamenta appena devo staccarmi dallo stare in call/videocall con lui (siamo appassionati di videogiochi e videogiochiamo sempre insieme, stando sempre in videochiamata). Siccome tra poco appunto mi trasferirò nella sua stessa regione (per motivi lavorativi dei miei) con tutta la mia famiglia e siccome voglio migliorare il mio stile di vita ripartendo dal mio aspetto fisico, allo stare il meno possibile davanti al pc e magari trovarmi la mia cerchia di amici, a lui questa cosa non sta molto a genio dicendo che poi a lui non lo calcolo e questa cosa mi blocca. Oltre questo solo dopo 3/4 mesi mi sono accorta che ha vari tic verbali o muscolari nervosi.. dove inizia a parlare da solo, ripetere parole a bassa voce, rispondere a domande con tipo “sta lasciando solo *nome posto/cosa* e basta”, ripetere dei gesti ecc.. so che magari sono cattiva a dire questo, ma all’inizio mi sembrava una persona totalmente diversa, e così come effettivamente lo sto vedendo ora non ne sono sicura di volerlo avere nella mia vita per sempre. Il problema è che le sue continue ricerche di rassicurazioni e discorsi sul fatto che mi vuole così come sono, mi fanno piacere da un lato, ma dall’altro mi sento obbligata a stare con lui perché se no soffrirebbe come non so cosa.. io in questo momento sono molto in confusione e non so neanch’io come gestire la cosa.. ho paura che se io lo lasciassi farebbe chissà cosa a se stesso, a me non penso toccherebbe

    • cboracchi ha detto:

      Salve Francesca, ho l’impressione che la “relazione” di cui parla (tengo le virgolette perché di fatto si tratta, da quello che scrive, di un rapporto che è stato finora quasi esclusivamente virtuale: reale sì, ma vissuto dentro la bolla della dimensione virtuale, appunto) sia una relazione che incontra già allo stato attuale importanti problemi.
      Comprendo la preoccupazione ed il desiderio di non essere motivo di sofferenza per qualcun altro, ma non possiamo dimenticare che ciascuno è il primo responsabile del proprio benessere. Se abbiamo l’impressione di non riuscire ad essere di aiuto per l’altro è bene dichiarare la nostra impotenza e, proprio per questo, chiudere i ponti.
      Qui non si tratta di dipendenza affettiva, ma di una condizione di stallo nella quale restare significa restare incastrati, mentre lasciare significa aprire la possibilità a ciascuno di fare la propria strada ed iniziare ad affrontare realmente i propri problemi, senza rifugiarsi dentro bolle che presto finiscono per diventare prigioni.

  11. Pietro ha detto:

    Buongiorno, provo a raccontare circa 23 anni di vita in circa 30 righe…
    Noi ci siamo fidanzati nl 1999 nel 2005 ci siamo spostati. Abbiamo due splendidi figli, il periodo del lockdown è stato per noi forse il periodo più bello della ns vita…ma un anno fà abbiamo avuto un calo nella ns relazione (forse anche a causa degli impegni tra comunione di mio figlio, cresima di mia figlia, trasloco e rottura del tendine di Achille). A Dicembre 2022 mia moglie mi dice che non mi ama più e che ha un problema (oltra ad attacchi di panico ed ansia) del quale non mi vuole parlare. Dopo circa 3 mesi d’inferno (lei con cuffie in casa che non parla con nessuno) ed un incidente in auto che quasi ne provoca la morte scopro che soffre di Bulimia Nervosa (ed in un periodo anoressia). E quì si apre il disastro….lei è in cura nel centro disturbi alimentari…ma parla di separazione, avvocati…non segue più i figli, la casa ecc…la sua frase che ripete a tutti è “Sono stufa di essere la moglie perfetta, la madre perfetta, la figlia perfetta, la nuora perfetta”….e da tutte le colpe a me di tutto, è totalmente un altra persona e la sua malattia l’ha portata quasi a morire. Dice che dobbiamo separarci ed io non sò più cosa fare. Tutti i medici che ho contattato mi dicono che praticamente io sono lo “scaricatore” di tutto per lei…e che spetta a me decidere del futuro: resistere o mollare. Lei ho proposto di andare per un periodo dai suoi genitori ma non vuole, mi ha detto che andava in affitto e io le ho proposto che poteva andare tranquillamente ed io pagavo\pensavo io alla casa nuova ed ai ragazzi….ma niente, lei sta male sia a livello nutrizionale che psichico (ammesso da lei stessa) . La guarigione è lunghissima, ed io sono in difficoltà perché io amo mia moglie ma quella di un anno fà…questa non è più mia moglie…ed io sono davvero in una situazione difficile. Non sò manco se potenzialmente ha un altro….Devo proteggere i miei figli, che sono sotto pressione. Anche perchè lei è scontrosa e sempre arrabbiata soprattutto con mia figlia (che da adolescente ha già tutte le sue problematiche…).

    • cboracchi ha detto:

      Salve Pietro, grazie per aver condiviso l’esperienza dolorosa che sta attraversando.
      In realtà da ciò che mi scrive emerge come la situazione sia molto diversa da quella di un quadro di dipendenza affettiva, cioè quella discussa nell’articolo. Capisco bene però la condizione di tensione e sofferenza in cui si trova: la crisi di un membro di una coppia diventa spesso una crisi per la coppia stessa, e ciò che chi va in crisi vede come soluzione può comportare grandi sofferenze per l’altro partner o perfino per la famiglia nel suo insieme.
      In tali situazioni può essere di grande aiuto l’opportunità di affrontare un percorso terapeutico di coppia, anche per capire quelle che sono le “recriminazioni” che ci vengono addossate e provare ad affrontarle, risolverle. Naturalmente perché questo avvenga è necessario che entrambi i partner desiderino affrontare un percorso simile, con il desiderio di mettersi in gioco.
      Diversamente, dato che inevitabilmente la crisi personale di sua moglie colpisce anche lei, non trascuri la possibilità di un suo percorso personale, che possa aiutarla ad affrontare ciò che sta accadendo e ciò che sta vivendo con un aiuto in più.
      Sperando di esserle stato di aiuto, porgo cordiali saluti

  12. Arianna ha detto:

    Ho 46 anni, ho conosciuto il mio fidanzato circa due anni fa e ci siamo messi insieme facendomi conoscere e frequenatre le sue gemelle da un anno e mezzo, al’inizio era preso ma cauto nell’esprimerlo a parole, dopo alcuni mesi l’ho visto raffreddarsi e di conseguenza anch’io.. ora ci vediamo una volta ogni due settimane ma ci scriviamo tutti i giorni: buon giorno, buon pranzo, buon pomeriggio, buona cena e buona notte. Non riesco a lasciarlo perchè vivo nella speranza di mancargli.
    Grazie

    • cboracchi ha detto:

      Cara Arianna se, come scrive, vive nella speranza di mancare all’altro, forse allontanarsi un po’ potrebbe aiutarla a vedere questa mancanza nel suo fidanzato molto più di questa presenza così assidua.
      Spesso in realtà quello che ci trattiene non è la speranza di mancare, ma la paura che la nostra assenza non sia insopportabile.
      La vera questione però è: questa relazione cosa sta dando a lei? Cosa le fa dire che valga la pena restare?
      Forse partire da domande opportune aiuta a capire come dirigere le nostre scelte…

  13. Mary ha detto:

    Buonasera non riesco a lasciare il mio ragazzo stiamo insieme da 5 anni, e ad agosto abbiamo iniziato a convivere, andando contro la mia famiglia, la quale non nutre una grande stima nei suoi riguardi, ovviamente con la convivenza le cose sono peggiorate, speravo che avremmo trovato un nostro e quilibrio, ma alconteario sento come se stessi sbagliando, amo viaggiare, non sono una persona rancorosa lui invece si, é molto geloso, e in un modo o nell’altro emergono sempre le sue insicurezze anche in una semplice frase dove lui non é il soggetto, esempio “a capodanno voglio mangiare pesce come dio comanda” (tutto detto ridendo e in gruppo) lui reagisce seccato dicendomi “come se a te mancasse” e inzia la discussione, da quando conviviamo mi ha sempre accompagnata all’università, a lavoro, senza farmi mancare nulla, ma alla prima discussione mi rinfaccia tutto, in una di queste é arrivato a dirmi che sono un ingrata, premetto che io nel mio piccolo mi do da fare oltre lo studio lavoro e faccio le pulizie in una piscina per potermi pagare l’accademia che a causa del reddito dei miei é alto.
    Lui mi ha accompagna da per tutto ma dai i miei no per principio visto la reputazione che hanno di lui dice (i miei abitano a mezz’ora di strada da casa) ma allo stesso tempo i miei non mi prendono perché dicono se convivi ti accompagna qui nel bene e nel male anche se noi non lo vogliamo, ha scelto di essere il tuo compagno.
    Questa situazione dopo 4 mesi non sto riuscendo a gestirla, cerco un equilibrio che continua a non arrivare e certi atteggiamenti non fanno che farmi sorgere importanti dubbi, come ad esempio il fatto che ha sempre una parola cattiva da dire contro ai miei, o mi prende in giro quando io per una stupidaggine li chiamo pur di sentirli… per il resto siamo gli opposti io amo viaggiare e sono piú dinamica , lavoro e studio, lui si accontenta di “lavorare” nella azienda del padre due volte alla settimana per mezz’ora, di avere tutto pagato dall’azienda e quelle poche uscite che facciamo andiamo o al mc o lui si fa i tornei di carte.
    Ho paura a lasciarlo perché non solo oltre ad aver investito tanto andado contro la mia famiglia, ma anche perché non voglio farlo soffrire, ho paura che possa rinfacciarmi tutto e sentirmi in colpa per quello che comunque non mi ha fatto mancare dall’altra parte….mi sento anche in colpa ad aver scritto tutto ciò…

    • cboracchi ha detto:

      Salve Mary, purtroppo l’idea “così non andiamo d’accordo, ma magari se facciamo di più le cose si aggiustano” raramente si rivela di aiuto.
      L’unico modo per provare a dare una svolta è esplicitare la propria insoddisfazione e tematizzare il bisogno di uscire da questo stallo, magari con un percorso di coppia.

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