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paure infantiliQual’è l’approccio più utile per aiutare un bambino ad affrontare una sua paura?

In quale modo possiamo aiutare i nostri figli a capire come affrontare le difficoltà che incontrano nella loro quotidianità?

Tutti i bambini hanno delle paure, proprio come noi.

Tutti i bambini hanno dei problemi, proprio come noi.

Molto spesso si ha l’idea che l’infanzia sia un’età beata, priva di pensieri e preoccupazioni, fatta solo di momenti spensierati e gioiosi. Questo pensiero si basa da una parte su una possibile idealizzazione della nostra infanzia, ad un ricordo nostalgico di un periodo “privo di problemi”, dall’altra su una visione stereotipata e inautentica di come vivano i bambini, ma anche al fatto che talvolta le questioni che preoccupano un bambino sono diverse da quelle che preoccupano un adulto, o formulate in termini differenti, per cui agli occhi del genitore o insegnante la cosa può apparire bizzarra o fantasiosa.

Questa difficoltà di sintonizzazione può portare ad affrontare le domande che i piccoli ci fanno in modo sbrigativo, come il semplice frutto di una fantasia troppo fervida o l’attribuzione di un’importanza esagerata a questioni marginali.

Ogni volta che si mette in atto questo meccanismo, tuttavia, perdiamo un’occasione molto importante per comprendere il bambino ed aiutarlo ad affrontare il suo problema, con il rischio molto concreto che questo, non compreso, aumenti e diventi sempre più difficile da arginare. Le paure aprono una finestra sul modo in cui il bambino guarda il mondo, sulle regole e sui significati che caratterizzano il suo modo di vedere la realtà.

A partire da queste visioni i bambini costruiscono quindi ipotesi che aprono scenari più o meno rispondenti al vero, ma sempre legati a ciò che capiscono o ritengono di capire (spesso in modo molto più esatto di noi adulti, bisogna ammettere). Per questo motivo riuscire a comprendere da dove nasca la questione che un bambino ci pone come problematica diventa un primo passo fondamentale per capirlo.

A questo proposito esiste un libro per bambini (ma forse dovremmo dire per genitori) che racconta esattamente come vanno le cose quando con una risposta sbrigativa liquidiamo un problema o una paura di un bambino senza fermarci a capire da dove nasca la richiesta che ci porta.

Il libro, stranamente non pubblicato in Italia, si chiama “there’s no such thing as a dragons”, che potrebbe essere tradotto come “i draghi non esistono”, e racconta la storia di un bambino che un mattino si sveglia e trova nel suo letto un piccolo drago.

Corre a dirlo alla mamma che però, invece che provare a capire cosa preoccupi il bambino, da dove nasca la sua paura si limita a rispondergli “i draghi non esistono”. Da quel momento lo stesso Willy, il bambino della storia, inizia a darsi questa risposta, ed ogni vota che questa risposta viene ripetuta il drago diventa un po’ più grande e un po’ più invadente non solo per lui, ma anche per tutti quelli che lo incontrano e che a loro volta non riescono a vedere il drago “che non esiste”.

La stessa cosa succede anche per altre cose “che non esistono”: fantasmi, ladri, malattie, mostri… le forme con cui un bambino esprime la propria paura della solitudine, della lontananza, del rifiuto, ecc.

Nel momento in cui chiediamo al bambino di farci capire da dove nasca quella sua paura, o quel problema che a noi sembra tanto strano, possiamo avere la possibilità di “vedere il drago”, aiutare il bambino a guardarlo negli occhi ed affrontarlo insieme a lui.

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