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Recentemente è comparsa sui giornali la notizia (vera) che due genitori sono stati accusati di abbandono di minore per aver lasciato da solo (in casa e munito di telefono cellulare) per 20 minuti un ragazzino di 11 anni.

Poco tempo fa aveva fatto molto clamore un fatto simile, quando una scuola era stata condannata per non aver lasciato uscire da solo un ragazzo di 14 anni dopo la fine delle lezioni, evento che aveva costretto tutte le scuole medie italiane a diramare una circolare per comunicare che, da quel giorno, qualunque ragazzo avrebbe dovuto essere ritirato a scuola da un familiare.

Interventi di questo tipo sollevano una seria domanda: che tipo di ragazzi stiamo crescendo? Che idea abbiamo dei tanti dibattuti “adolescenti” di oggi?

genitoriDetto in altre parole: noi adulti come ci assumiamo la responsabilità di responsabilizzare i ragazzi?

La questione è di vitale importanza non solo per il nostro futuro, ma anche per il nostro presente.

Non occorre andare a ricordare che in altri luoghi o in altre epoche, diverse dal mondo “occidentale” attuale ragazzi e ragazze di 11 anni (o perfino prima) lavorano, viaggiano, conducono una casa, si occupano dei fratelli…

Certamente il diritto all’infanzia va considerato un concetto prezioso e da difendere, per evitare abusi e orrori su bambini, ai quali è doveroso permettere di essere tali, tuttavia l’essere adultizzato non è l’unico pericolo che un individuo può correre.

L’infantilizzazione è un rischio altrettanto grave, se non peggiore, perché impedisce ad una persona di attrezzarsi degli strumenti necessari per affrontare la vita con autonomia.

Se un bambino adultizzato potrà rimpiangere l’infanzia perduta, ma potrà comunque (se adeguatamente protetto e tutelato) sopravvivere con efficacia nel proprio mondo, e magari anche riprendersi un po’ di ciò che ha perso, un ragazzo “bamboccio”, un individuo che non è mai stato costretto ad affrontare seriamente una propria responsabilità, correrà seriamente il rischio di rimanere in disabile sociale, una persona incapace di affrontare le sfide più importanti della vita.

gentiroiL’eccesso di protezione rende deboli. Più proteggiamo, più indeboliamo.

Questo vale sia fisicamente (se faccio vivere in un ambiente sterile, non permetterò al corpo di sviluppare anticorpi) che psicologicamente e socialmente (se non permetto ad un ragazzo di affrontare frustrazioni e responsabilità, non potrà mai costruirsi una solidità e sicurezza personale).

Se, fortunatamente, gli episodi più macroscopici (come quelli citati in apertura) riguardano un numero di situazioni contenuto, la tendenza ad iperproteggere è un fatto acclarato e diffuso.

Mediamente quale riteniamo che sia “l’età giusta” perché un bambino/ragazzo possa restare a casa da solo?

E per tornare da solo da scuola?

E per badare ad un fratellino?

…e voi da quale età lo facevate?

Capisco che il discorso non possa essere semplificato o banalizzato (“sono cambiati i tempi”, si dice), ma una domanda va presa in considerazione.

Riteniamo che queste “esperienze di responsabilità” siano state utili o dannose? Perché riproporle o toglierle ai nostri figli significa fornire o rimuovere qualcosa che può essere necessario per loro come lo è stato per noi.

Questo blog non è certo la sede per discutere di scelte legislative o giuridiche, né la mia intenzione è quella di fare discorsi sociologici.

Da un punto di vista psicologico però questo tema tocca molto da vicino il contesto in cui opero, perché tocca adulti e ragazzi, famiglie e scuole, e interpella tutti: genitori e non.

Si dice (ed è vero) che un adolescente di oggi sia molto più esposto ad un mondo di notizie, informazioni e contenuti di quanto non accadesse nel passato, che in qualche modo siano chiamati ad essere “più adulti”, più maturo.

Come possiamo permettergli di realizzare questa maturità, se li solleviamo dal peso della minima responsabilità?

2 Comments

  1. blank Anna P. ha detto:

    Ho 34 anni e ricordo che gia’ in 3* elementare andavo e tornavo da sola da scuola in bicicletta tutto l’anno, neve o pioggia. Ero felice di farlo, mi sentivo grande e libera. Certo, la scuola era vicina e il paese piccolo, ma ad un passo c’era la trafficatissima strada provinciale e io sapevo che li’ in bicicletta non ci volevo andare.
    Ora invece vedo ragazzini di 10/11 anni completamente impreparati a vivere, come la figlia del mio compagno. Frequento le figlie da pochi mesi e credo di averle gia’ aiutato a fare passi avanti. Sono rimasta sconvolta quando ho appreso che la ragazzina di 10 anni non era in grado di tagliarsi la pizza da sola, che quasi non le fanno usare le forbici e non usa i coltelli!
    Ogni volta che il padre, per istinto, le dice “no, faccio io che ti fai male” io intervengo “lascia fare a lei, se non prova non impara, noi siamo qui a guidarla”. Gli ho spiegato che lui pensa di farlo per il suo bene, con un istinto di protezione, ma cosi’ facendo le demolisce l’autostima e non la rende autosufficiente. E’ d’accordo con me e quando intervengo mi ringrazia ma…che fatica!
    C’e’ ancora tanto lavoro da fare sui genitori…

    • blank cboracchi ha detto:

      Sono completamente d’accordo con lei.
      Un film che a mio giudizio è sorprendentemente illustrativo da questo punto di vista è “Alla ricerca di Nemo”… osservare il modo in cui gli adulti aiutano o ostacolano la capacità dei giovani di affrontare i problemi aiuta a riconoscere il ruolo che possiamo giocare

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