Il naso della maestra
Maggio 18, 2023

gestione ansia e attacchi di panicoMaurizio sbatte gli occhi con aria perplessa. Non mi è chiaro se perché non comprenda il nesso tra la mia domanda e la sua situazione, o se perché la mia metafora gli abbia aperto una prospettiva che finora non aveva mai considerato.

Maurizio è un giovane uomo che si è rivolto a me alcune settimane fa per un problema di attacchi di panico.

Il suo iter ricalca quello di tante altre persone che condividono questo problema: un primo attacco alcuni anni fa, la prima (e nel suo caso unica) corsa in Pronto Soccorso per il timore di un infarto e da lì l’iscrizione al “club degli impanicati”, come scherzosamente lo definisce lui. Questa iscrizione lo ha portato negli anni seguenti a rivolgersi ad alcuni medici psichiatri i quali di volta in volta proponevano farmaci che per un certo periodo assicuravano un discreto beneficio, salvo poi progressivamente soccombere al riemergere dell’ansia che lo accompagna ormai da quasi cinque anni.

La persona che incontro è tra lo sconforto e l’incertezza. L’ultimo psichiatra al quale si è rivolto lo ha indirizzato da uno psicologo, proposta che ha preso con un certo scetticismo, dato che (parole sue) non capisce come “quattro chiacchiere lo possano aiutare a far sparire l’ansia per sempre”.

“Immaginiamo che mentre sta viaggiando sulla sua auto si accorga ad un certo punto di uno strano rumorino che prima era certo di non aver mai sentito, provenire dal cofano della macchina, e che dopo pochi minuti veda accendersi una spia che segnala un guasto. Porta l’auto dal suo meccanico, il quale dopo aver dato un’occhiata al quadro elettrico, stacca il contatto della spia del cruscotto, chiude la macchina e con un sorriso soddisfatto le rende chiavi e fattura: “ecco a lei, adesso quella spia non le darà più alcun fastidio”. Questo la farebbe risalire più tranquillo sull’auto?”

Il disorientamento di Maurizio è più che comprensibile: a lui è stato spiegato che lui ha una malattia chiamata “ansia” o, a seconda dei momenti, “attacchi di panico” e come tale è stato curato, riuscendo peraltro ad incontrare momenti di benessere.

Ciò che con la mia storiella ho voluto cercare di mostrare a Maurizio è quella che io ritengo una premessa fondamentale nel mio lavoro con i cosiddetti disturbi d’ansia: l’idea che l’ansia non sia il problema, ma il segnale, la spia sul cruscotto che la nostra mente accende per segnalarci qualcosa che non va. Un segnale scomodo, se vogliamo, fastidioso, ma pur sempre un segnale.

Pensiamoci un momento: se non fosse stato, almeno in qualche sua parte, un meccanismo funzionale, utile alla nostra vita, perchè mai l’evoluzione avrebbe dovuto portarla con sé fino ai giorni nostri?

Per quanto sia difficile vederla come tale, l’ansia altro non è che uno tantissimi meccanismi adattivi che la nostra mente ha conservato e sviluppato nel corso dell’evoluzione per permetterci di accorgerci di ciò che non ci sta bene ed attivarci a cambiarlo.

Ciò che rende questo segnale uno scomodo compagno di vita è la difficoltà che può subentrare nella comprensione del suo messaggio, spesso resa più nebulosa da generalizzazioni improrie (“se la prima volta sono stato male a tavola, forse non dovrei più andare al ristorante…”) e dalle paure delle conseguenze che distolgono l’attenzione dalle cause (“potrei morire”, “se mi dovesse venire l’ansia mentre mi trovo lì, potrei svenire, e tutti penserebbero che sono matto”).

Applicare soluzioni sbagliate ad un problema, qualunque sia il problema, genera da sempre tre effetti: il problema non si risolve, la situazione peggiora e chi fallisce si deprime.

Ma allora cosa fare?

Torniamo all’esempio della storia di Maurizio: spegnere la spia, il segnale e non aprire il cofano per andare all’origine del problema non porterà molto lontano. Maurizio per molto tempo si era limitato a leggere la sua ansia come “solo un po’ di stanchezza, debolezza”, dandosi come soluzione auspicata “una buona vacanza (ovviamente, sempre con il tavor in valigia) e passa tutto”.

Naturalmente la presenza di un aiuto che permetta di mantenere una vita più tranquilla e portare avanti impegni senza restare in balia dell’inquietudine è una possibilità preziosa, a volte inevitabile, per non far aggravare la situazione in attesa che si risolva. Tuttavia troppo spesso si confonde “la sirena con l’incendio”, si spegne la prima e non ci si cura delle fiamme.

Certamente spegnere un allarme è più semplice che fronteggiare il fuoco, ma tra le due opzioni quale scegliereste?

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