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Chi non conosce Peppa Pig alzi la mano.

Schivare il rosa-molto-rosa maialino inventato da Astley & Baker nel 2004 e ormai “cucinato e servito” in tutte le salse (sì, il gioco di parole è voluto…), è un’impresa tanto ardua da averlo inserito di diritto tra i fenomeni mediali degli ultimi dieci anni, seguito dal consueto codone di polemiche ed accuse più o meno sensate.

Dalla dipendenza psicologica, ai messaggi subliminali, dall’istigazione alla volgarità, fino all’istigazione anti-animalista (accusa legata alla rappresentazione irrealistica di animali felici di vivere in anguste case umane), la povera maialina parrebbe essere accusata di ogni male possibile ed immaginabile (tranne forse l’apologia del nazismo e l’abigeato).

Il problema di per sé non si porrebbe più di tanto, se non fosse che… Peppa Pig ai bambini piace!

Che fare allora? C’è del vero in tutte queste preoccupazioni?

O se non proprio in queste, esistono ragioni per preoccuparsi seriamente nell’esporre i bambini a certi cartoni animati?

Onestamente, prima di arrivare ad una disamina più dettagliata del cartone animato in questione, introduco una domanda che sorge un po’ spontanea: la mia generazione (che ad occhio e croce dovrebbe essere la stessa di quei genitori oggi tanto preoccupati per Peppa Pig) è stata certamente la generazione dei “nativi televisivi”, quelli cresciuti tra “Bim Bum Bam” e i cartoni giapponesi, quelli passati tra una dozzina di invasioni aliene, disastri atomici, sacre scuole di arti marziali e lottatori mascherati che ammazzavano gli avversari a suon di mosse segrete e colpi proibiti.

In confronto a tutto questo, cosa potrà mai fare un maialino?

Detto ciò, vale la pena di osservare con un occhio più critico e consapevole (dal punto di vista psicologico) un prodotto che entra quotidianamente nelle nostre case anche senza accendere la tv.

Una prima precisazione riguarda il target del cartone animato: i bambini under 4 anni (dopo questa età, solitamente, l’interesse del bambino tenderebbe spontaneamente a diminuire, sostituito da altri programmi con altre storie).

Le caratteristiche di Peppa Pig sono state studiate appositamente per essere comprese ed apprezzate da bambini molto piccoli. La scelta, ad esempio, di un format con storie narrativamente lineari, semplici, quotidiane si deve al modo di elaborare le informazioni della mente del bambino fino ai 4-5 anni secondo i principi di sequenzialità e concretezza: un’eventuale sequenza mostrata successivamente ma logicamente contemporanea non sarebbe compresa, così come filoni narrativi paralleli, o eccessivamente articolati.

A differenza di noi adulti che siamo attratti dalla suspance, i bambini necessitano una chiusura delle sequenze di interazioni: le azioni iniziate devono essere concluse rapidamente per essere capite. Il bagaglio di memoria del bambino, ancora in via di addestramento, non permette sospensioni del racconto o collegamenti tra episodi. Quello che per un adulto è “una storia noiosa, priva di attrattiva e monotona”, è per il bambino una storia chiara e comprensibile.

 

La stessa scelta di tematiche quotidiane si lega alla necessità di mescolare sempre una prevalenza di elementi conosciuti con pochi nuovi, possibilmente riconducibili a quelli noti: l’alternanza tra conosciuto e nuovo, assicurata anche dalla sovrabbondanza di spiegazioni (la voce narrante che spiega costantemente ciò che accade) permette al bambino di seguire al meglio lo svolgimento della storia (ecco anche perchè i personaggi sono pochi, ripetitivi e stereotipati).

Anche i tempi narrativi brevi, con puntate che durano circa cinque minuti ricalcano i tempi di attenzione continuativa attesi in questa età, offrendo anzi un’occasione di addestramento alla concentrazione per eventuali soggetti con difficoltà.

Occorre tenere presente, inoltre, come prima dell’età scolare il bambino sia interessato a capire il modo di funzionamento della vita di tutti i giorni: vuole capire cosa fanno le persone e perchè.

Da questo punto di vista è innegabile che Peppa Pig sia un prodotto ben strutturato.

Ma basta questo a farci lasciare serenamente i bambini davanti alla televisione? Esistono delle critiche psicologicamente opportune per un prodotto che raggiunge milioni di bambini nel mondo?

Una critica abbastanza diffusa e che personalmente condivido è legata al contenuto delle puntate e la totale assenza di alcuna indicazione pedagogica più elaborata del “volemose bene”: se nessuno chiede ad un cartone animato di educare i bambini al posto nostro, d’altra parte si sarebbe potuto tentare di proporre ogni tanto una situazione di litigio tra fratelli o amici gestita con strategie di compromesso anche semplici, o mostrando processi di costruzione condivisa di regole e norme familiari.

La conclusione di ogni situazione critica con una battuta, un grugnito e risate sbellicanti tutti giù per terra appare fuori luogo anche per quella che è l’esperienza di un bambino di 2-3 anni, che sa molto bene che se non fa quello che dicono i genitori, questi si arrabbiano, non ridono di certo!

Al di là tuttavia di una serie di considerazioni “contenutistiche”, credo che la più importante riflessione debba riguardare piuttosto la modalità di approccio a quello che, per tanti bambini, è evidentemente il “primo prodotto mediatico conosciuto e riconosciuto”.

Non si può trascurare che la televisione è uno dei molteplici vettori di contenuti che scandiscono la vita di tutti, bambini compresi: per questo è essenziale che questi siano accompagnati a conoscerne i linguaggi, i codici, i generi, ecc.

Così come per tutte le esperienze di vita, anche per quanto riguarda il rapporto con i media il bambino necessita di essere educato: la presenza del genitore non solo per regolamentare i tempi di visione, ma soprattutto per accompagnarlo alla visione diventa un’importante esperienza educativa, oltre che un’occasione di condivisione di uno spazio ludico con lui.

Quello che voglio dire è che, se da una parte i vari messaggi più meno catastrofici sono evidentemente privi di senso e fondamento, dall’altra l’accompagnamento e l’educazione passo passo deve essere svolta anche per quanti riguarda il mondo dei media, per favorire l’apprendimento delle strategie di fruizione più adeguate. L’accompagnamento e la condivisione da parte di almeno un genitore, dovrebbero essere una costante indipendentemente dal programma scelto.

Certamente un programma tarato per la mente di un bambino di pochi anni difficilmente intercetterà l’interesse di un adulto, che per cui finirà per trovarlo piuttosto noioso, lento e malfatto.

Generalmente a quel punto la soluzione può essere quella di concentrarsi non sullo schermo, ma sul bambino che ci sta davanti e vederlo affascinarsi della scoperta del mondo.

Anche attraverso una famiglia di maiali.

2 Comments

  1. Alberto ha detto:

    Davvero interessante la prospettiva delineata nell’articolo. De-responsabilizzarsi rispetto al ruolo genitoriale e investire un cartone animato della funzione educativa è un pericolo insito in molti programmi, non certo solo in Peppa.

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